Cultura Arbëreshë
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La Cultura Arbëreshë sicuramente va tutelata ma soprattutto deve essere raccontata, anteprima di Riti e Miti della Cucina Arbëreshë di Federico Valicenti in corso di pubblicazione

E’ attraverso Il recupero e la valorizzazione delle tradizioni gastronomiche che si attivano le conoscenza dei riti e miti che per secoli hanno contraddistinto la cucina popolare da quella aristocratica, la cucina rurale da quella di corte. Farsi carico di raccogliere le tradizioni per non farle disperdere, per non fustellarle nella omogeneizzazione dei racconti, per non lasciarli nell’oblio del ricordo.
E’ un compito arduo ma si deve fare, per dare giusto valore alla memoria ed al cibo di cui quotidianamente ci nutriamo, per lasciare ai posteri i segni della nostra civiltà. Serve per ottenere e acquisire un insieme di competenze, saperi ed esperienze della gastronomia che la cultura accademica molto spesso sottovaluta ma che ci rappresenta in egual misura.
Nelle comunità italo albanesi sopravvivono riti particolari durante le varie feste che il popolo ancora continua a rispettare mescolando magia e religione, leggende e tradizioni, senza approfondire la genesi storica ma semplicemente accogliendo, tramandando. Le feste cristiane dedicate ai santi vengono officiate attraverso una pietanza, attraverso un cibo anche dalle comunità albanesi.
Il 3 febbraio, giorno di San Biagio (Shen Bjazi), ma solo nelle famiglie dove esiste e vive un Biagio, vengono cucinate le tagliatelle con i ceci -tumac me qiqra in un grande calderone e da qui offerto a tutti i vicini e gli amici. Mentre il 19 marzo, giorno di San Giuseppe, la preparazione delle tumac me qiqra le tagliatelle con i ceci viene esteso alla cucina di tutti.
Le festività pasquali sono scandite da preparazioni originali di dolci e di pani. Ancora oggi, come un tempo facevano le nostre nonne, le donne arbëresh riescono a preparare autentiche leccornie e in diverse forme. Oltre ai “tarelet”, i gustosi taralli, spicca il caratteristico “çiçi” un dolce dalla forma di un bastone di pasta, piegato in due e intrecciato, alla ripiegatura del bastone si infila un uovo sodo.
La “ pulza” , una specie di gallinella e “sphorteza”, un dolce a forma di panierino venivano preparate per i bambini. Il Kulaçi è uno dei prodotti gastronomici più caratteristici degli arbëresh della Basilicata, una ciambella salata, preparata con farina impastata con uova e latte, spennellata con uovo crudo e cotta al forno.
La “riganata” preparata con farina, zucchero pezzi di noce, uva passa e bagnata con olio. La pasta, arrotolata su se stessa a spire, non viene fritta ma messa a forno.
Il 17 Agosto festa di San Rocco si usa confezionare in casa i “papocullat”, pani che si portano in chiesa e si poggiano sull’altare durante la celebrazione liturgica della messa mentre il 13 dicembre si portano in chiesa dei piccoli pani preparati con le castagne, detti picilet.
Uno degli alimenti di eccellenza della antica cucina albanese sicuramente resta il “gugliaccio”, un dolce rustico a base di farina di grano tenero, semola rimacinata, uova, olio, strutto, lievito madre, e finocchietto selvatico. Il “cugliaccio”, chiamato nel dialetto albanese Kulac, è un tipico prodotto della tradizione gastronomica mentre altri si cimentano nel preparare “le pettulat”, delle morbide frittelle, la “dromesat“, sorta di polenta o pasta fatta con grumi di farina cucinati direttamente nei sughi, le “shtridhelat“, tagliatelle simili alle manate ottenute con una particolare lavorazione e condite con ceci o fagioli.
Tra i secondi molto utilizzata la carne di maiale come la “kandarate”, carne conservata sotto sale, la saucice, la supersat, il kapekol, le frittula. Molto in uso anche delle frittate come la “veze petull” preparate con la cicoria oppure con cardi selvatici, scarola, cime di vitalba. Nelle grandi ricorrenze c’è un enorme uso dei dolci, come i “kanarikulj”, bastoncini di pasta dolce bagnati nel miele, le “kasolle megijze”, calzoncelli ripieni di ricotta, la “nucia”, dolce con la forma di bambola con all’interno l’uovo intero che raffigura il viso, la cicirata, i bukonote.

Umberto Palazzo
Capo Servizio Gazeta Arbereshe