Tradizioni Arbëreshë
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Il maiale è parte integrante della Cultura Arbëreshë, storicamente le popolazioni stabilitesi in altura allevavano preferibilmente i maiali invece degli ovini per la maggiore disponibilità di boschi e ghiande dove farli crescere. Una bella descrizione della tradizione arbëreshë la troviamo nella pubblicazione di Federico Valicenti che ci autorizza a pubblicarne un estratto:
Acquistato il maialino in tardi primavera, di circa 20-25 Kg, viene cresciuto nella stalla fino alla castrazione fatta da una persona che ha acquisito cognizioni di veterinaria attraverso le tradizioni orali tramandate da generazione in generazione.
La castrazione dell’animale avviene all’inizio dei primi mesi caldi per non far disperdere energia al maiale e diminuire cosi di peso. L’aiutante del “chirurgo” mette la testa del maiale fra le gambe stringendo forte e con le mani lo tiene per le orecchie, un altro tiene i piedi da dietro e la persona esperta di cognizione agreste di veterinaria, incide con un bisturi molto artigianale la parte del lato destro della pancia, quindi con un uncino estrae le ovaie della porcella, mentre al porcello schiaccia i testicoli con le mani, quindi richiude la ferita e velocemente lo rimette in piedi; ci vuole arte e maestria per operare in quel modo, cercando di non arrecare danni che potrebbero essere fatali al maiale.
Chi non vuole tutti questi problemi oppure non ha la possibilità di crescere il maialino ne compra uno già adulto alle fiere paesane che chiudono l’estate, dove si fanno acquisti o si barattano gli animali prima che arrivi l’inverno Alcuni giorni prima dell’uccisione del maiale si preparano i coltelli che devono essere molto affilati, di varie misure e tagli.
Di solito il coltello per uccidere il maiale è lungo 25/30 cm, –skannaturi- affilato da ambo i lati e con il manico tondeggiante che permette così una roteazione dello stiletto nel cuore dell’animale.
I coltelli per depilare il maiale sono invece alquanto tozzi e lunghi non più di 20/25 cm, composti di una larga lama affilata da un solo lato per poter essere guidato con le dita poggiate sulla parte superiore. Con l’altra mano si tiene il manico piatto del coltello che scivola uniformemente con poca pressione evitando di intaccare o tagliuzzare la cotica.
Affilata l’ascia che serve per dividere il maiale a metà una volta appeso alla carrucola e i coltelli per sezionare la carne, si procede alla verifica degli altri utensili; il tavolaccio dove viene sdraiato il maiale per essere ucciso ha un’inclinazione anteriore di circa 5cm in modo da far fuoriuscire velocemente tutto il sangue.
Le donne, dispensate dal portare da mangiare al maiale che è tenuto a digiuno nelle ultime ventiquattro ore,- dedicano la vigilia del sacrificio del maiale alla preparazione pulendo e preparando ceste grandi di vimini che servono per contenere le budella, alla raccolta di legna secca che servirà a fare il fuoco per far bollire l’acqua.
E’ l’alba, l’intera famiglia si sveglia e ai “compari” viene servito un forte caffè con un goccio d’anice. Il padrone di casa s’ avvicina dove è rinchiuso l’animale e la padrona che lo ha amorevolmente cresciuto si avvicina a chiamarlo.
Una volta fuori dall’uscio il padrone lentamente gli alza la gamba, accarezzandolo gli viene legato con una fune il piede, mentre la padrona di casa fa rumoreggiare qualche ghianda in un secchio di metallo. Il maiale sente l’odore del cibo e segue il rumore.
da “Il cibo di Giorgio Castriota Scanderbeg” di Federico Valicenti
